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Dialoga con noi la fitta stesura ad olio di Erminia Vecchi, i cui quadri – come dice lei – non finiscono mai con le circoscritte zonature materiche che occhieggiano ora decise ora, quasi dimesse, nelle sfumature cromatiche ad impreziosire l’anima intensa dei mille volti rappresentanti nelle sue tele. È meraviglioso scoprire che uomini o donne che siano, questi sono i volti che Erminia racchiude in sé, li nasconde, li protegge, li coccola di amore materno: sono i volti di chi ha viaggiato molto con la fantasia, di chi ha saputo travalicare spazi senza luogo né tempo. Sono volti autobiografici che conferiscono forza e pienezza alla mano che corrisponde alla mente e al cuore di questa pittrice alla sua prima mostra.

Occhi seri, ma non tristi, espressioni gravi, ma non devastate ci parlano di luoghi lontani. Questi volti sembrano essere sospesi in un limbo, in attesa di vivere, di manifestarsi. Sono sempre regali i volti di Erminia, pieni di saggezza. Gli occhi delle donne, liquidi, come quelli delle gazzelle, sognano chissà quali mondi. Ci sembra di vederle queste donne sul dorso di un cammello a navigare le vie della seta, a vivere una vita da nomade ma adornate di monili nascosti dalle velature che ricoprono il loro corpo per altri uomini, per un altro Dio. Ora vestono un sahari leggero e accennano a quel passo di danza misterioso e leggiadro che incanta, oppure sono i volti della dignità delle donne africane acconciate a festa, che stringono al petto un piccolo angelo, mentre i bimbi scrutano con occhi curiosi e increduli noi che siamo qui ad osservarli. “Siamo poveri ma non infelici”, sembrano dire. Una particolare attenzione va alla piccola tibetana. Incarna l’espressione sorpresa di una voce che la chiama: è la voce di Erminia che non smette di palpitare e di guardare lontano oltre l’orizzonte in quello spazio di tela non impresso, ed è lì in quello spazio vuoto che noi la possiamo scorgere. Lo sguardo rivolto all’insù mi porta ad inciampare – dice Erminia e non sa quanto sia bello perdersi fra i suoi colori che raccontano gli sguardi e destini dei suoi mille volti pieni di armonia. Erminia Vecchi, nasce e vive a Roma, dove svolge il suo lavoro di artista, perché da sempre lei è attratta dai colori e dalle tele, avendone respirato gli odori fin da piccola in una famiglia di artisti del pennello. Il messaggio che Erminia vuole trasmettere attraverso le sue opere è quello dell’interculturalità non priva della saggezza morale delle antiche culture che ella rappresenta. E, poi, c’è un sentimento che si fa avanti: è la pazienza del quadro che non finisce mai ma che sviluppa pazienza interiore unita ad un velo di malinconia subito messa da parte grazie all’estetica, alla serenità, alla speranza dei suoi mille volti.

 

Clara Orlandi, sociologa, nasce a Roma dove vive e lavora. È, da sempre, studiosa, ricercatrice della cultura aborigena australiana, è una story-teller della tradizione orale. L’incontro con questa cultura millenaria, cambia la sua vita e la spinge ad ampliare le sue conoscenze. Consegue il diploma di Missiologia presso la Pontifica Università Gregoriana. Fonda insieme a Francesca Benedetti il Fluismo una nuova corrente artistica. Collabora con la Galleria d’Arte Maggiore di Biagio Carlomagno, in qualità di critico d’arte, grazie alla capacità donatale dagli aborigeni di non soffermarsi al visibile, ma di valutare la bellezza di un’opera con “gli occhi che non guardano”.

 

 

 

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